LA CHIAVE (D’ORO) DEL SUCCESSO DI MILOT

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Alfred Mirashi è arrivato in Italia vent’anni fa, su una delle navi del grande esodo. Oggi espone in tutto il mondo: “Le mie chiavi sono un simbolo dell’apertura. Penso che oggi, mentre il mondo attraversa crisi di vario tipo, bisogna essere aperti l’uno verso l’altro”

Roma – 22 settebre 2011 – Mentre in Italia si celebra il ventennale dell’arrivo di migliaia di albanesi a Bari e a Brindisi, a Venezia, in concomitanza con la 68. Mostra d’Arte Cinematografica si è svolta OPEN, l’Esposizione Internazionale di Sculture e Installazioni, giunta alla sua quattordicesima edizione.

Tra le tante opere esposte figura anche DO,TRY, un’enorme chiave realizzata in ferro, alluminio, vinavil, gesso, juta, schiuma e vetroresina dell’artista albanese Alfred Mirashi.

Alfred è arrivato in Italia che era ancora un ragazzo. Era su una di quelle navi salpate venti anni fa da Durazzo, un puntino scuro come tanti nelle foto dell’esodo, oramai entrate nell’immaginario collettivo. In poco tempo però Alfred è riuscito a emergere da quella folla indistinta, mostrando al mondo il suo profilo colorato e pieno di energia.

Il suo nome d’arte è Milot, come la cittadina nell’Albania del nord in cui è nato. L’Albania la porta ancora nel cuore, e attraverso di esso nelle sue opere. Le grosse tele – appartenenti al ciclo “Angolo Mediterraneo” – sembrano il racconto a colori dei paesaggi albanesi, con le montagne innevate ornate dall’azzurro del cielo, la luce inebriante del sole e degli aranceti accanto alle candide statue di Butrinti.

“Sono nato e cresciuto in un piccolo paesino, con tutte le difficoltà di quel periodo, che dentro tuttavia mi hanno lasciato il segno delle belle cose. Ricordo che ogni domenica c’era il mercato e io, ancora bambino, ero rapito dai vestiti tradizionali che portavano gli uomini e le donne. Semplici nelle fantasie, ma con una meravigliosa armonia di colori, ricamati con grande abilità dalle nostre mamme e dalle nostre nonne”.

Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, Milot non si è più fermato: Londra, Firenze, New York, Berlino, Napoli. Nel Castello Angioino di Napoli, Milot ha esordito nel 2003 con le sue celebrate “Veneri”, sette uova giganti in cemento armato, con sopra dipinte sette icone del nostro tempo, da Madre Teresa a Maradona, passando per l’eroe nazionale albanese Scanderbeg e Dante. Poi nelle sue tele e nelle sue sculture sono apparse le chiavi.

“Colleziono vecchie chiavi; anche i miei amici e familiari me ne portano al ritorno dai loro viaggi. Ne sono affascinato, per me rappresentano il simbolo dell’apertura. Penso che oggi, mentre il mondo attraversa crisi di vario tipo, bisogna essere aperti l’uno verso l’altro. Mi sembra l’unica via d’uscita”.

Probabilmente proprio questa idea ha colpito il critico Carmelo Strano il quale definendo l’opera di Milot “una chiave miracolosa”, si chiede: “E se l’Onu lo facesse circolare, in qualsiasi modo, questo messaggio di arte e di pace?”.

Irida Cami giovedi 22/settembre 2011

Fonte: Stranieriinitalia 


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