LA CHIAVE; DIALOGO CON ALFRED MIRASHI MILOT

“Il simbolo della chiave è, con ogni evidenza, in rapporto al suo doppio ruolo di apertura e di chiusura: ha al tempo stesso un ruolo d’iniziazione e di discriminazione […] il potere delle chiavi è quello che permette di legare e di dislegare […] secondo la terminologia alchimistica, si tratta qui del potere di coagulare e di sciogliere.”

C.G. Jung, Dizionario dei simboli

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Alessandra De Bianchi: Era il 1991 quando ti imbarcasti su una nave, con migliaia di persone stipate al suo interno, facendo rotta verso l’Italia… Oggi cosa è rimasto in Milot della Milot natia, del posto dove sei cresciuto?

Alfred Mirashi Milot: Quando ho iniziato l’Accademia avevo i capelli lunghi, la barba, e tutti mi chiamavano “il Caravaggio albanese”. Così, mi è venuta l’idea di prendere il nome della città dove sono cresciuto, Milot, che come diceva il mio professore Francesco Poli, suona molto bene a livello eufonico. Spero che sia di buon auspicio, come lo è stato per i grandi artisti del passato… Di Milot oggi rimangono il nome, i ricordi d’infanzia e le amicizie.

A.D.B: Stilema ricorrente nelle tue opere è la chiave, simbolo di “apertura” e di “chiusura” al contempo. La migrazione che ha caratterizzato la tua esperienza personale è stata una specie di rito di “iniziazione” o l’affermarsi in un certo senso di una “discriminazione”, una chiusura, per quel che è possibile, con il passato?

A.M.M.: La chiave per me è apertura. Tutte le cose sono aperte nel loro modo di presentarsi. È importante affrontare la realtà in modo positivo. Nei quadri dipingo la chiave in posizione verticale, così assume una forma magica, che apre anche se in realtà così è inutilizzabile. La chiave è un oggetto universale, che si usa in tutto il mondo, e la mia migrazione è stata un’apertura ottimistica verso la novità.

A.D.B: Nelle tue opere disegni spesso figure statuarie, echi scultorei dell’antica arte greca e romana. In linea con questa sorta di mitologia, pensi che al mondo oggi ci sia più bisogno di dèi o di eroi?

A.M.M: Anche se il Mediterraneo vive di queste leggende, a me piace la frase di Brecht: “Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”. È un gioco artistico per rendere omaggio alla tradizione mediterranea e illirica, sempre con un’idea di apertura, di unione e non di discordia tra le varie culture, perché nel futuro bisogna andare verso la pace.

A.D.B: La tua arte, che si esplica principalmente nella pittura, ma anche nella scultura e nelle installazioni, è una forma di educazione o di disobbedienza verso il sistema artistico attuale?

A.M.M.: L’artista di oggi è a 360°, sa fare tutto. Però io vedo l’arte più sul lato della manualità, dell’artigianalità. L’arte di tutti i giorni, non troppo sofisticata, è quella dai cui vengono le grandi idee. Quindi ho un approccio tradizionalista, ma credo che il sistema dell’arte debba promuovere sia la tradizione che l’innovazione.

Alfred Mirashi Milot (Milot, Albania 1969), artista, si è diplomato in pittura all’Accademia delle Belle Arti di Brera. Vive e lavora a Firenze.

Alessandra De Bianchi è laureata in Filosofia Teoretica-Estetica, vive e lavora a Firenze.

Fonte: i.OVO, arte e cultura contemporanea


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